Sullo snobismo nel mondo dello yoga

 

Ebbene sì: non fingiamo che non ci sia snobismo anche in questo ambiente, non raccontiamocela dicendo che non esistono persone che nel mondo dello yoga se la tirano e che giudicano chi non la pensa come loro. E ciò riguarda sia gli insegnanti che gli allievi.

 

Persone che peccano di superbia, con un ego enorme, che giudicano l’altro, che sono convinte di aver capito tutto e di avere la verità in tasca solo perché praticano yoga. E questo è un atteggiamento che spesso impedisce alle persone di avvicinarsi alla pratica per paura, per timore di non sentirsi all’altezza, per il terrore di sentirsi giudicati, imperfetti, anche in un mondo che dovrebbe essere pacifico e accogliente, sempre, nei confronti di chiunque.

 

UN MONDO DI “INVASATI”

 

– “Hai mai fatto yoga?” – Chiede il maestro.

 

– “Sì, metodo Sivananda” – Risponde l’allievo.

 

– “Ok, quindi yoga. Alla fine lo yoga è yoga.” – Dice il maestro gentilmente.

 

– “Già, mica siamo a un corso di pilates!” – Risponde un allievo incattivito, che non è stato interpellato e cui nessuno aveva chiesto nulla.

 

E di esempi del genere se ne potrebbero fare molti: c’è l’allieva che dice a un’altra che non è portata per lo yoga perché magari non riesce ancora a tenere le posizioni troppo a lungo, e glielo fa notare lei, non il maestro; quella che anche quando si sta solo parlando, si mette a fare posizioni da sola per far vedere quanto sia snodata; quella che se ti azzardi a dire che non sei vegetariana ti guarda come se le avessi detto che hai appena ucciso sua madre (anzi no, peggio, perché di questi tempi sembra molto più grave uccidere un animale che una persona).

 

Tutti si possono avvicinare allo yoga, anche i carnivori più accaniti, i fumatori, gli atei, dopodiché starà a queste persone, e solo a loro, capire se fare un percorso e decidere oppure no se smettere di fumare, di mangiare solo verdura, di cominciare a credere.

 

Invece spesso sento dire che non si comincia a praticare yoga proprio per timore d’incontrare degli “invasati”.

 

YOGA: UNA NUOVA CROCIATA?

 

Non si dovrebbe giudicare nessuno mai, anche perché nessuno sa cosa sia davvero bene per un individuo e cosa potrebbe esserlo per un altro. Ci sono persone che magari non arriveranno mai a credere nel divino o nella reincarnazione, eppure potrebbero scegliere di praticare yoga e meditare fino alla fine dei loro giorni. Perché stigmatizzarli? Insegnare yoga non deve essere una nuova crociata. Lo scopo non è convertire, non è obbligare qualcuno a credere per forza in qualcosa. Non puoi dire a un montanaro di non mangiare mai più il ragù di capretto, ma non gli si può certo impedire di avvicinarsi allo yoga, e il montanaro in questione non deve sentirsi comunque giudicato per questo, non deve sentirsi inferiore o provare la sensazione di star sbagliando qualcosa.

 

LO YOGA NON È UNA RELIGIONE

 

Il primo principio dello Yama è l’Ahimsa, la non violenza, quindi tra le altre cose anche non uccidere e quindi non mangiare animali. Ma che differenza c’è tra una persona che tratta male un suo simile e che agisce perpetrando violenza psicologica, e una che mangia un animale perché magari è cresciuta in un posto in cui è tradizione mangiare carne e non vuole farne a meno, eppure vuole praticare yoga? Chi è migliore? Chi è peggiore? Che poi, se siamo giudicanti, ma non mangiamo carne, siamo sicuri di poterci definire “migliori” e di praticare davvero la non-violenza?

 

La maggior parte delle persone non si avvicina allo yoga per impedire il ciclo della reincarnazione o con l’intenzione di raggiungere il divino. Si può praticare yoga in maniera laica per stare bene con se stessi, mentalmente e fisicamente. Meditare e avere a che fare solo con la propria coscienza. Viviamo in Occidente, la maggior parte delle persone è cristiana. Allora i cristiani non dovrebbero praticare yoga, e così i musulmani o gli ebrei perché non credono in Brahmā? Bisogna stare attenti a non diventare razzisti, intolleranti, il confine è labile quando si pecca di superbia, ma soprattutto, non è seccante finire sempre a parlare di Dio e di divino nonostante lo yoga non sia assolutamente una religione?

 

SO DI NON SAPERE

 

“Io so di non sapere” diceva Socrate. Il saggio è colui che non ha la risposta per tutto e non il contrario, e invece troppo spesso ci troviamo ad avere a che fare con insegnanti e adepti che sono convinti di sapere tutto e che credono che il loro modo di vivere e di fare yoga sia l’unico possibile e quello giusto, e solo perché pensano di seguire alla lettera i passi Yama Niyama.

 

Ci sono scuole per diventare insegnanti di yoga che impediscono a un fumatore di iscriversi. Ci sono persone che ti guardano dall’alto in basso se dici di appoggiare la sperimentazione sugli animali, anche se questo vuol dire cercare una cura contro il cancro, magari per guarire un nostro caro che sta morendo. Allora qual è il limite? In nome dello yoga e dei precetti Yama Niyama, sarebbe giusto far morire mio padre di cancro se l’unica possibilità per provare a curarlo fosse quella di sacrificare un animale per sperimentare farmaci? Se così fosse, se questo dovesse essere un obbligo, allora non farei mai più yoga in vita mia.

 

Per non parlare di quei “poveretti” che non credono “nell’energia”, e di quelli che si azzardano a dire che magari le malattie vengono anche per questioni genetiche e per sfiga, e non certo perché si sta male psicologicamente. Perché c’è sempre qualcuno che dirà: “Ecco, hai un cancro all’esofago perché non sei mai riuscito a dire quello che pensavi veramente.” E magari è anche vero, ma se io non ci credo assolutamente, non voglio essere giudicata e vista come una che quasi non dovrebbe fare yoga.

 

A volte sembra di avere a che fare con persone che credono negli oroscopi e che dicono: “O ci credi o è inutile che io parli con te.” E lo stesso vale per il vegetarianismo: “O sei vegano o io e te non abbiamo niente da dirci.”

 

NON SOLO PATAÑJALI

 

Ma non è così, o meglio, non è solo così. Come insegna lo shivaismo tantrico del Kashmir, per esempio, l’unico vero scopo per chi pratica yoga, è cercare la strada che è giusta per noi e solo per noi. Non si può generalizzare, non si possono imporre a tutti le stesse regole. Si possono e si dovrebbero accogliere anche tutti quegli allievi che non hanno nessuna intenzione di seguire gli Yogasūtra di Patañjali, e lo shivaismo kashmiro è una corrente che non li segue affatto, anzi, se ne guarda bene di impedire a qualcuno di andare contro la propria natura e suggerisce di vivere ogni emozione pienamente, tuffandosi nel dolore così come nel piacere e meditare in essi, senza negarsi nulla.

 

Ecco alcuni aforismi tratti dal Vijñānabhairava, la conoscenza del tremendo:

 

All’inizio e alla fine di uno starnuto, nella paura, nel dolore o davanti a un precipizio, nella fuga da una battaglia, nell’eccitazione del desiderio, all’inizio e alla fine della fame, è presente l’essere del brahman.”

 

Addirittura il piacere in ogni sua forma è visto come supporto meditativo perché è tutto manifestazione della suprema beatitudine.

 

    73. Lo yogin fermi la mente dovunque essa trovi appagamento. Ecco che lì si invera la natura della beatitudine suprema.

 

    70. Allo sperimentare una grande gioia o alla vista di un amico dopo lungo tempo, meditando sulla beatitudine sorta, lo yogin immerso con la mente in essa si dissolve.

 

    71. Se lo yogin, in occasione del dischiudersi della beatitudine gustativa causata da cibi e bevande, realizza nella meditazione uno stato di pienezza, allora si invera la grande beatitudine.

 

Per farla breve, c’è poco da giudicare se per esempio negli aforismi di Siva quello che si vuole trasmettere è che:

 

“la natura divina che lo yogin raggiunge non è qualcosa che prima non fosse, ma null’altro che la sua stessa intima natura di cui egli era soltanto incapace di prendere coscienza, benché fosse manifesta, per colpa  delle costruzioni mentali suscitate dalla potenza di Maya.”

 

Da Raffaele Torella sulla scuola della Pratyabhijñā o del “Riconoscimento”.

 

Sempre Raffaele Torella, uno dei più noti esperti internazionali di Tantrismo indiano, docente a La Sapienza di Roma:

 

“Attraverso l’esperienza di stati d’animo, sensazioni ecc., spinti al limite estremo, lo yogin può attingere la realtà dello spanda, l’energia vibrante indifferenziata, la realtà assolutamente ultima di tutto ciò che esiste. L’ira, la gioia, il dubbio, la fuga disperata di fronte a un pericolo provocano, giunte alla massima intensità, una sorta di vuoto nella coscienza, espellendo tutta la molteplicità inestricabile e fluttuante dei vari stati mentali. A questo punto, lo yogin che è sempre rimasto presente a se stesso acquieta improvvisamente il dubbio o l’ira, compiendo quel movimento che fa la tartaruga quando ritira di scatto tutte le membra; oppure, nel caso della gioia o del terrore, li fa dilagare. È in questo momento che lo yogin, seppure per un attimo, tocca nel vivo in tutta la sua purezza e violenza, il proprio principio nascosto.”

 

Insomma, secondo lo shivaismo non si può trovare se stessi imponendosi regole che non ci appartengono e che magari non fanno per noi (e che non fanno parte della nostra cultura e tradizione, aggiungo io.) È bene vivere tutto con intensità, senza privarsi di nulla; essere sempre presenti, aggiungendo anche una buona dose di leggerezza:

 

Dallo Spanda (II,5)

 

“…colui che ha conseguito questo stato di coscienza, vedendo il mondo intero come gioco, ininterrottamente compenetrato con la suprema realtà, è senza dubbio un liberato in vita.”

 

CONCLUSIONI

Quindi a tutti coloro che si sentiranno di nuovo giudicati, consiglio di rispondere che siete degli shivaiti tantrici, tanto la maggior parte delle persone non sapranno di cosa starete parlando, ma sentendo nominare la parola “tantrici”, capiranno che è qualcosa che ha a che fare con lo yoga e allora verrete ben visti comunque. Meglio non dire, invece, che fate parte della setta dei Pāśupata, degli shivaiti ormai scomparsi che erano un po’ troppo sopra le righe, che facevano follie e orge, si ubriacavano, e chi più ne ha più ne metta, sempre in nome del ricongiungimento con il divino.

 

Comunque, a parte gli scherzi. Qui non si tratta di schieramenti. Il punto è che una persona che si avvicina allo yoga per la prima volta o che pratica da anni, non deve sentirsi mal visto se vuole continuare a vivere all’occidentale e salutare dicendo Buongiorno e non Namasté.

 

Ma scusatemi, dico così solo perché il mio unico vero mantra nella vita è e sarà sempre la frase: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire.”

 

 

Articolo tratto da Il Giornale dello Yoga

 

https://www.ilgiornaledelloyoga.it/snobismo-yoga

Related Posts