Di: Dejanira Bada
Viviamo in una delle epoche più belle e pacifiche della storia dell’umanità, nonostante ci sia una pandemia in corso che comunque passerà, come tutto, come sempre.
Lo so, forse vi ha fatto sobbalzare dalla sedia leggere certe parole, perché mai come oggi sentiamo ripetere e ci ripetiamo: sono ansioso, irrequieto, stressato, si stava meglio prima e via dicendo.
No, non si stava meglio prima, almeno a detta di Steven Pinker, docente di psicologia a Harvard, autore di Illuminismo adesso: in difesa della ragione, della scienza, dell’umanesimo e del progresso. Pinker è un democratico, non gli piace Trump, ma nonostante questo in Italia è odiato da Il Manifesto e molti altri, solo perché dice che il mondo non fa schifo.
Questo è il secolo della pace, il secolo del Declino della violenza – per citare un altro famoso libro di Pinker, massacrato per l’appunto da Il Manifesto anni fa –, della diffusione della democrazia, del rispetto dei diritti umani, dell’aumento della sicurezza, della conoscenza, il declino dell’analfabetismo, delle morti per incidenti stradali, per la guerra, e potrei continuare a lungo; il libro di Pinker è lungo quasi 500 pagine e vi spiega tutto dettagliatamente con fior di tabelle e dati e numeri che di questi tempi piacciono tanto.
E allora com’è possibile che nonostante tutte le conquiste fatte dall’uomo, nonostante il progresso e il miglioramento delle condizioni di vita della maggior parte della popolazione mondiale, si abbia la sensazione di essere più inquieti, più infelici?
Pinker risponde a questa domanda nel capitolo dedicato alla Felicità: “Un briciolo di ansia può essere il prezzo che paghiamo per l’incertezza della libertà”. Con molta probabilità sembra proprio che la conquista di libertà e diritti abbia condotto l’uomo moderno a sentirsi spesso disorientato.
L’uomo e la donna di oggi sono liberi di provare a fare carriera, di scegliere il partner che vogliono e quanti ne vogliono, costruire una famiglia, dedicarsi agli amici, allo svago, e nel frattempo impegnarsi politicamente, per l’ambiente, combattere le ingiustizie sociali, tutte cose che non facevano parte della vita comune di un qualunque individuo, figuriamoci di una donna. Pinker scrive che le donne, quando hanno guadagnato l’autonomia, forse hanno perso anche qualcosa in felicità. “Nelle epoche precedenti l’elenco delle responsabilità delle donne di rado si estendeva oltre i confini della sfera domestica. Oggi le giovani donne sempre più affermano che tra i loro obiettivi di vita ci sono carriera, famiglia, matrimonio, denaro, svago, amicizia, esperienza, senza rinunciare a correggere le ingiustizie sociali, a essere leader della propria comunità e dare un contributo alla società. Sono un bel po’ di cose di cui preoccuparsi, e altrettanti modi di essere frustrati: la donna fa progetti e Dio ride”.
Quello che molti rimpiangono, quel ‘si stava meglio quando si stava peggio’, in realtà nascondeva provincialismo, conformismo, tribalismo, restrizioni degne dei talebani all’autonomia delle donne. Vivevamo sotto dittature, sotto regimi aristocratici, borghesi, rurali davvero soffocanti.
E la nostra ansia arriva anche dal fatto che viviamo in un’epoca senza Dio. Un maggiore livello d’istruzione e di scetticismo ci porta a non avere certezze neanche sul piano esistenziale. Oggi ognuno è libero di poter credere in quello che vuole o di non credere, ma molti insoddisfatti delle verità religiose tradizionali, possono anche sentirsi privi di ormeggi in un cosmo moralmente indifferente.
Se poi ci aggiungiamo che fino a poco tempo fa non c’erano i giornali, non si sapeva nulla di quello che accadeva al di fuori del proprio villaggio mentre oggi dalla tv, dalla radio, da internet riceviamo quotidianamente una dose massiccia di problemi e preoccupazioni che arrivano da ogni parte del mondo, come possiamo pretendere di non sentirci ansiosi.
In un esperimento raccontato da Pinker, dimostra la reazione di persone al cospetto di servizi di cronaca manipolati in modo da avere un effetto positivo o negativo: “i partecipanti che avevano visto il notiziario con valenza negativa mostravano un accentuato stato d’animo a un tempo ansioso e triste, e mostravano anche un significativo incremento della tendenza a connotare in senso catastrofico una preoccupazione personale”.
Questo non vuol dire non agire mai per cambiare le cose ma semplicemente ci fa capire che non possiamo farci carico di tutti i problemi del mondo. È innaturale (e anche ipocrita se poi non badiamo nemmeno al nostro vicino di casa).
Oggi possiamo riflettere, avere opinioni, deliberare, ponderare, prendere decisioni che sono solo nostre. Un po’ di sopportabile ansia e d’infelicità forse è il prezzo da pagare per una società tollerante e cosmopolita quale siamo e stiamo diventando. Ne vale la pena? Per me sì, e ci sono anche dei modi per migliorare la situazione.
Steven Pinker, per fare i conti con una messe crescente di responsabilità senza morire per la preoccupazione, suggerisce un mix di vecchi e nuovi rimedi come: i contatti umani, l’arte, la meditazione, la terapia cognitivo-comportamentale, la consapevolezza, i piccoli piaceri, l’uso giudizioso dei farmaci, le rinvigorite organizzazioni di assistenza e sociali e il consiglio da parte di persone sagge su come condurre una vita equilibrata.
Suggerisce anche ai giornalisti di dare qualche notizia positiva, e di non iniettare solo ansia e preoccupazione nelle menti dei cittadini. Ma si sa, il catastrofismo fa più audience, c’è poco da fare. Ma non dimentichiamoci mai che quando diventa troppo abbiamo un grande potere: spegnere tv, radio e cellulari.
Ad ogni modo, Pinker dice anche che l’ansia è prerogativa dei giovani adulti, e che in realtà più si va avanti con gli anni e meno ansia si prova, perché si trovano dei modi per farvi fronte.
Più la vita è considerata entusiasmante, ricca di significato, e più è stressante, bisogna farsene una ragione. Insomma, per far fronte a tutta quest’ansia bisognerebbe anche imparare ad accettare che nella vita non c’è mai stata e mai ci sarà un qualche tipo di certezza.
Il lavoro a tempo indeterminato, per esempio, presto sarà un’utopia, anzi, lo è già. Non ci sarà più ‘dalla culla alla tomba’ e le persone dovranno sapersi adattare al cambiamento. I robot sostituiranno la maggior parte delle occupazioni umane di oggi, ne parla approfonditamente anche Pinker sempre in Illuminismo adesso. Inoltre avremo molto più tempo libero, molti non avranno più bisogno di lavorare e probabilmente si arriverà al reddito di esistenza per tutti. E questa incertezza è la stessa che ha destabilizzato tutti anche durante la pandemia: i nostri piani sono saltati in aria, e abbiamo dato i numeri.
C’è un concetto che mi affascina dei complottisti, ed è che credono che certi avvenimenti – come per esempio questa pandemia – servano a introdurre drasticamente dei cambiamenti che altrimenti la società non avrebbe mai accettato. Senza essere complottisti, è interessante pensare che effettivamente l’umanità dovrà accettare dei cambiamenti rivoluzionari, a qualunque costo, anche se non è facile adottare nuovi stili di vita.
Ma una soluzione forse arriva proprio dall’Oriente.
Il filosofo inglese Alan Watts, nel suo La saggezza del dubbio (nonostante per lui, da convertito al buddhismo, la vita sia soltanto dolore) ci suggerisce di accettare l’impermanenza e l’insicurezza, perché sono ineluttabili e inseparabili dalla vita. Nulla è per sempre. Tutto passa. Ed è inutile anche continuare a provare a dare un senso a tutto questo
In fondo non c’è nessuna prova e nessuna certezza neanche dell’esistenza di Dio, figuriamoci del resto!
“Una società che si fondi sul perseguimento della sicurezza non è altro che una gara a chi trattiene di più il fiato, in cui ognuno è teso come un tamburo e paonazzo come una barbabietola. […] Quel che dobbiamo scoprire è che non c’è alcuna sicurezza, che cercarla è doloroso e che, quando pensiamo di averla trovata, non ci piace. In altre parole, se riusciremo veramente a capire ciò che stiamo cercando – che la sicurezza è isolamento, e che cosa facciamo a noi stessi quando la cerchiamo – ci accorgeremo di non volerla affatto”.
Bisognerebbe imparare e vivere nel dubbio senza diventare dei nevrotici. Per Watts la nostra ansia arriva proprio dalla spasmodica ricerca di continui stimoli, distrazioni, significati, gioie temporali, che mai ci daranno quello di cui abbiamo bisogno. “Per quanto possa sembrare paradossale, troviamo allo stesso modo il senso della vita solo se abbiamo visto che essa è senza scopo, e conosciamo ‘il mistero dell’universo’ solo quando siamo convinti di non conoscerlo per nulla”.
Come scrive Watts, se per godere di un pur piacevole presente dobbiamo avere la sicurezza di un futuro felice ‘chiediamo la luna’. Non abbiamo alcuna sicurezza del genere. Ma con la consapevolezza possiamo imparare a cogliere che la caducità e la mutevolezza del mondo sono parti integranti della sua vivacità e bellezza. Ce lo dicono da sempre anche scrittori, poeti, pittori, musicisti di ogni epoca. Non si può opporsi al mutamento, cercare di aggrapparsi alla vita.
Come scrisse Goethe: “La più alta vetta raggiungibile all’uomo è la meraviglia; e se il fenomeno primo lo meraviglia, ne sia pago; non può dargli nulla di più alto e null’altro egli dovrebbe cercare dietro di esso; qui sta il limite”.
La vita non si può spiegare con leggi stabili, con etichette, con l’illusione di quella quasi magia che è il linguaggio. Dobbiamo apprezzare la meraviglia senza chiederci cos’è questa meraviglia. “La religione vuole assicurare il futuro oltre la morte, mentre la scienza vuole assicurarlo fino alla morte, e rimandare la morte. Ma il domani e i progetti per il domani possono restare senza alcuna importanza se non siamo in pieno contatto con la realtà del presente, perché è nel presente e solo nel presente che viviamo. Non c’è altra realtà che la realtà presente, per cui, se anche dovessimo vivere per un tempo senza fine, vivere per il futuro significherebbe continuare eternamente a non capire la vita”.
Cercando continuamente certezza e sicurezza, rischiamo di non vivere mai davvero, di essere sfiniti, stanchi, nell’inutile lotta di resistere all’ignoto, ma la vita è ignoto, e non accettarlo equivale a non accettare la vita. Ecco perché tutta quest’ansia moderna.
Cosa ci vorrebbe? Una mente aperta e ricettiva, la capacità di vivere ogni istante come assolutamente unico e nuovo, padroneggiare una forza avversa arrendendovisi. “È inutile che riusciamo a prevedere e controllare il futuro corso degli eventi se non sappiamo vivere nel presente. È inutile che i medici prolunghino la vita se poi trascorriamo il tempo concessoci in più nell’ansia di vivere ancor più a lungo. È inutile che gli ingegneri progettino mezzi di trasporto più veloci e più comodi se poi ci limitiamo a scegliere e a capire i nuovi luoghi che visitiamo in base ai vecchi pregiudizi. È inutile acquistare la potenza dell’atomo se poi dobbiamo soltanto continuare nell’andazzo di massacrare la gente”.
Per Watts viviamo in questo solo istante, siamo questo istante, non c’è passato né futuro né significato da cercare. Il tutto è una danza, e quando si danza non si ha l’intenzione di andare in nessun luogo.
Quindi perché incaponirci a cercare sicurezza quando i piaceri migliori sono quelli che non programmiamo, che non ci aspettiamo? Perché temere il dolore se è più l’attesa del dolore in sé a fare male? Perché continuare a fare progetti per un futuro che non è qui se non possiamo nemmeno sapere se quel progetto futuro, una volta che si realizzerà, ci renderà felici?
“Possiamo vivere in un solo istante alla volta, non possiamo pensare ad ascoltare le onde e insieme pensare se ci piaccia o non ci piaccia ascoltare”.
Ma vista tutta questa fatica, insensatezza e insicurezza, alla fine, perché vivere?
Ci risponde Steven Pinker – sempre in Illuminismo adesso – che ha dovuto veramente rispondere a questa domanda fattagli da una studentessa durante una conferenza in cui si spiegava che per gli scienziati la vita mentale consiste in schemi di attività nei tessuti del cervello enulla di più: “Nell’atto stesso di porre tale domanda, stai cercando ragioni delle tue convinzioni, e quindi ti affidi alla ragione come mezzo per scoprire e motivare ciò che è importante per te. E ci sono tante ragioni per vivere!
Come essere senziente, hai la potenzialità di fiorire. Puoi affinare la tua stessa facoltà raziocinante apprendendo e discutendo. Puoi cercare spiegazioni del mondo naturale mediante la scienza, e comprensione della condizione umana meditante le arti e le discipline umanistiche. Puoi mettere a frutto la tua capacità di provare piacere e appagamento, una capacità che ha consentito ai tuoi antenati di prosperare e quindi ha reso possibile la tua esistenza. Puoi apprezzare la bellezza e la ricchezza del mondo naturale e culturale. Come erede della vita che si è perpetuata per miliardi di anni, puoi a tua volta perpetuarla. Sei stata dotata di un senso di simpatia – la capacità di apprezzare, amare, rispettare, aiutare e mostrare gentilezza – e puoi godere del dono della reciproca benevolenza con amici, familiari e colleghi.
E poiché la ragione ti dice che nulla di tutto ciò appartiene superficialmente a te, hai la responsabilità di procurare agli altri ciò che ti aspetti per te stessa. Puoi favorire il benessere di altri esseri senzienti promuovendo la vita, la salute, la conoscenza, la libertà, l’abbondanza, la sicurezza, la bellezza e la pace. La storia dimostra che quando siamo solidali con gli altri e applichiamo la nostra ingegnosità al miglioramento della condizione umana, possiamo fare progressi in questo senso, e tu puoi contribuire a dare continuità a tale progresso”.
Vi basta?
Articolo tratto da Pangea