Paul Bloom, professore di psicologia alla Yale University, ha scritto un libro che s’intitola Contro l’empatia, una difesa della razionalità.
Nonostante il titolo, Bloom afferma che essere contro l’empatia, oggi, è come essere contro i gattini, una cosa folle, strana, stravagante, che non può essere presa sul serio. Eppure, nel suo saggio ci spiega bene perché l’empatia rischia di essere una capacità dannosa e non sempre salutare.
Non invita a diventare tutti dei cinici degenerati, ci mancherebbe, ma cerca di spiegarci perché prendere decisioni mettendosi nei panni dell’altro, agendo “di pancia” e non usando la ragione, può condurci a fare scelte sbagliate.
Bloom definisce l’empatia come l’atto di fare esperienza del mondo come pensi che la faccia qualcun altro, ma per essere davvero premurosi, sembra essere più importante l’autocontrollo, l’intelligenza, e soprattutto la compassione. Se si è troppo coinvolti nell’emotività dell’altro, si rischia di non essere in grado di aiutarlo davvero, di non avere le forze e la giusta capacità di giudizio per agire nel migliore dei modi, per il bene altrui, per il bene comune.
Troppa empatia può portare anche a compiere atti di estrema crudeltà,
vendicativi. Questo non vuol dire smettere di usare il cuore: il cuore è necessario per motivarci a fare del bene; la testa per comprendere quale sia il modo migliore per farlo.
Continua a leggere la rubrica di Dejanira “Interna-Mente” su Il Giornale OFF