Le tre domande di Lev Tolstoj

Le tre domande di Lev Tolstoj

 

Leggendo il saggio Il miracolo della presenza mentale di Thich Nhat Hanh, ho scoperto il racconto “Le tre domande” dello scrittore Lev Tolstoj. Ho letto molti libri di Tolstoj, e penso che i suoi racconti brevi siano addirittura superiori a certi suoi romanzi.

 

Quando ho letto “Le tre domande”, mi sono letteralmente illuminata. Lo stesso Thich Nhat Hanh definisce Tolstoj un bodhisattva, perché solo un risvegliato avrebbe potuto scrivere un racconto simile, un inno alla consapevolezza, alla presenza mentale, alla mindfulness.

 

Qui sotto il racconto completo! Buona lettura!

 

Le tre domande di Lev Tolstoj

 

Un giorno, un certo imperatore pensò che se avesse avuto la risposta a tre domande, avrebbe avuto la chiave per risolvere qualunque problema:

 

Qual è il momento migliore per intraprendere qualcosa? Quali sono le persone più importanti con cui collaborare? Qual è la cosa che più conta sopra tutte?

 

L’imperatore emanò un bando per tutto il regno annunciando che chi avesse saputo rispondere alle tre domande avrebbe ricevuto una lauta ricompensa.
Subito si presentarono a corte numerosi aspiranti, ciascuno con la propria risposta.

 

Riguardo alla prima domanda, un tale gli consigliò di preparare un piano di lavoro a cui attenersi rigorosamente, specificando l’ora, il giorno, il mese e l’anno da riservare a ciascuna attività. Soltanto allora avrebbe potuto sperare di fare ogni cosa al momento giusto.

 

Un altro replicò che era impossibile stabilirlo in anticipo; per sapere cosa fare e quando farlo, l’imperatore doveva rinunciare a ogni futile svago e seguire attentamente il corso degli eventi.

 

Qualcuno era convinto che l’imperatore non poteva essere tanto previdente e competente da decidere da solo quando intraprendere ogni singola attività; la cosa migliore era istituire un Consiglio di esperti e rimettersi al suo parere.
Qualcun altro disse che certe questioni richiedono una decisione immediata e non lasciano tempo alle consultazioni; se però voleva conoscere in anticipo l’avvenire, avrebbe fatto bene a rivolgersi ai maghi e agli indovini.

 

Anche alla seconda domanda si rispose nei modi più disparati. Uno disse che l’imperatore doveva riporre tutta la sua fiducia negli amministratori, un altro gli consigliò di affidarsi al clero e ai monaci; c’era chi gli raccomandava i medici e chi si pronunciava in favore dei soldati.

 

La terza domanda suscitò di nuovo una varietà di pareri.

 

Alcuni dissero che l’attività più importante era la scienza. Altri insistevano sulla religione. Altri ancora affermavano che la cosa più importante era l’arte militare.L’imperatore non fu soddisfatto da nessuna delle risposte, e la ricompensa non venne assegnata.

 

Dopo parecchie notti di riflessione, l’imperatore decise di andare a trovare un eremita che viveva sulle montagne e che aveva fama di essere un illuminato. Voleva cercarlo per rivolgere a lui le tre domande, pur sapendo che l’eremita non lasciava mai le montagne e riceveva solo la povera gente, rifiutandosi di trattare con i ricchi e i potenti. Perciò, rivestiti i panni di un semplice contadino, ordinò alla sua scorta di attenderlo ai piedi del monte e si arrampicò da solo su per la china in cerca dell’eremita.

 

Giunto alla dimora del sant’uomo, l’imperatore lo trovò che vangava l’orto nei pressi della sua capanna. Alla vista dello sconosciuto, l’eremita fece un cenno di saluto col capo senza smettere di vangare. La fatica gli si leggeva in volto. Era vecchio, e ogni volta che affondava la vanga per smuovere una zolla, gettava un lamento.

 

L’imperatore gli si avvicinò e disse: “Sono venuto per chiederti di rispondere a tre domande: qual è il momento migliore per intraprendere qualcosa? Quali sono le persone più importanti con cui collaborare? Qual è la cosa che più conta sopra tutte?”.

 

L’eremita ascoltò attentamente, ma si limitò a dargli un’amichevole pacca sulla spalla e riprese a vangare.
L’imperatore disse: “Devi essere stanco. Su, lascia che ti dia una mano”. L’eremita lo ringraziò, gli diede la vanga e si sedette per terra a riposare. Dopo aver scavato due solchi, l’imperatore si fermò e si, rivolse all’eremita per ripetergli le sue tre domande. Di nuovo quello non rispose, ma si alzò e disse, indicando la vanga: “Perché non ti riposi? Ora ricomincio io”. Ma l’imperatore continuò a vangare. Passa un’ora, ne passano due.

 

Finalmente il sole comincia a calare dietro le montagne. L’imperatore mise giù la vanga e disse all’eremita: “Sono venuto per rivolgerti tre domande. Ma se non sai darmi la risposta ti prego di dirmelo, così me ne ritorno a casa mia”.

 

L’eremita alzò la testa e domandò all’imperatore: “Non senti qualcuno che corre verso di noi?”.
L’imperatore si voltò. Entrambi videro sbucare dal folto degli alberi un uomo con una lunga barba bianca che correva a perdifiato premendosi le mani insanguinate sullo stomaco.

 

L’uomo puntò verso l’imperatore, prima di accasciarsi al suolo con un gemito, privo di sensi. Rimossi gli indumenti, videro che era stato ferito gravemente. L’imperatore pulì la ferita e la fasciò servendosi della propria camicia che però in pochi istanti fu completamente intrisa di sangue. Allora la sciacquò e rifece la fasciatura più volte, finché l’emorragia non si fu fermata.

 

Alla fine il ferito riprese i sensi e chiese da bere. L’imperatore corse al fiume e ritornò con una brocca d’acqua fresca. Nel frattempo, il sole era tramontato e l’aria notturna cominciava a farsi fredda. L’eremita aiutò l’imperatore a trasportare il ferito nella capanna e ad adagiarlo sul suo letto. L’uomo chiuse gli occhi e restò immobile.

 

L’imperatore era sfinito dalla lunga arrampicata e dal lavoro nell’orto. Si appoggiò al vano della porta e si addormentò. Al suo risveglio, il sole era già alto. Per un attimo dimenticò dov’era e cos’era venuto a fare. Gettò un’occhiata al letto e vide il ferito che si guardava attorno smarrito.

 

Alla vista dell’imperatore, si mise a fissarlo intensamente e gli disse in un sussurro: “Vi prego, perdonatemi”.

 

“Ma di che cosa devo perdonarti?”, rispose l’imperatore.

 

“Voi non mi conoscete, maestà, ma io vi conosco. Ero vostro nemico mortale e avevo giurato di vendicarmi perché nell’ultima guerra uccideste mio fratello e vi impossessaste dei miei beni.

 

Quando seppi che andavate da solo sulle montagne in cerca dell’eremita, decisi di tendervi un agguato sulla via del ritorno e uccidervi. Ma dopo molte ore di attesa non vi eravate ancora fatto vivo, perciò decisi di lasciare il mio nascondiglio per venirvi a cercare. Ma invece di trovare voi mi sono imbattuto nella scorta, che mi ha riconosciuto e mi ha ferito. Per fortuna, sono riuscito a fuggire e ad arrivare fin qui. Se non vi avessi incontrato, a quest’ora sarei morto certamente.
Volevo uccidervi, e invece mi avete salvato la vita! La mia vergogna e la mia riconoscenza sono indicibili. Se vivo, giuro di servirvi per il resto dei miei giorni e di imporre ai miei figli e nipoti di fare altrettanto. Vi prego, concedetemi il vostro perdono”.

 

L’imperatore si rallegrò infinitamente dell’inattesa riconciliazione con un uomo che gli era stato nemico. Non solo lo perdonò, ma promise di restituirgli i beni e mandargli il medico e i servitori di corte per accudirlo finché non fosse completamente guarito. Ordinò alla sua scorta di riaccompagnarlo a casa, poi andò in cerca dell’eremita. Prima di ritornare a palazzo, voleva riproporgli le tre domande per l’ultima volta. Lo trovò che seminava nel terreno dove il giorno prima avevano vangato.

 

L’eremita si alzò e guardò l’imperatore.

 

“Ma le tue domande hanno già avuto risposta”. “Come sarebbe?”, chiese l’imperatore, perplesso.

 

“Se ieri non avessi avuto pietà della mia vecchiaia e non mi avessi aiutato a scavare questi solchi, saresti stato aggredito da quell’uomo sulla via del ritorno. Allora ti saresti pentito amaramente di non essere rimasto con me.
Perciò, il momento più importante era quello in cui scavavi i solchi, la persona più importante ero io, e la cosa più importante da fare era aiutarmi. Più tardi, quando è arrivato il ferito, il momento più importante era quello in cui gli hai medicato la ferita, perché se tu non lo avessi curato sarebbe morto e avresti perso l’occasione di riconciliarti con lui. Per lo stesso motivo, la persona più importante era lui e la cosa più importante da fare era medicare la sua ferita.

 

Ricorda che c’è un unico momento importante: questo. Il presente è il solo momento di cui siamo padroni.
La persona più importante è sempre quella con cui siamo, quella che ci sta di fronte, perché chi può dire se in futuro avremo a che fare con altre persone? La cosa che più conta sopra tutte è rendere felice la persona che ti sta accanto, perché solo questo è lo scopo della vita.”

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