Lo yoga è morto da un pezzo
A diciotto anni mi convinsero a provare una lezione di yoga per gestire l’ansia, ma ovviamente dopo la pratica uscii demoralizzata e andai a bere sei birre. Poi sono cresciuta: ho fatto anni di analisi, l’alcol non lo reggo più, lo Xanax è passato di moda, e così ho riprovato lo yoga, e devo dire che questa volta ha attecchito, tanto che per saperne di più mi sono iscritta anche a un corso di formazione.
Basta pagare per diventare insegnanti di yoga e non esistono bocciature. In qualche scuola si arrivano a spendere anche più di 3.000 euro. E il bello è che in realtà se ne potrebbe fare benissimo a meno, perché non c’è una legge che obbliga a essere iscritti a qualche albo o roba del genere. C’è Yoga Alliance che ha cercato di mettere un po’ d’ordine, un’associazione internazionale no profit che ti fa pagare un’iscrizione, e che in cambio rilascia un bollino dove si attesta che si è insegnante di yoga di 200 ore, 500 ore e via dicendo.
Poi c’è lo CSEN, che chiede altri soldi, e che in cambio rilascia un tesserino con scritto insegnante di ginnastica dello yoga finalizzata alla salute e al fitness. Un escamotage, perché in realtà lo yoga non è per niente uno sport, ma per permettere alle associazioni di avere qualche agevolazione fiscale qualcosa si dovevano pur inventare. E si sono inventati anche un’altra iniziativa: le Yoghiadi, le ‘Olimpiadi’ dello yoga, una specie di gara non gara a colpi di āsana che si terrà nel 2019. Inutile dire che l’idea è stata a dir poco contestata.
Insomma, nel tanto spirituale mondo dello yoga di soldi ne girano parecchi. È diventato un business tra seminari, corsi di formazione, tappetini, leggings, magliette, canottiere, braccialetti, mattoncini, cinghie, palle, di tutto e di più.
Ma dobbiamo pur dire che lo yoga si è diffuso in tutto il mondo non soltanto perché è una moda ma perché funziona.
È una disciplina millenaria, nata come meditazione, gli āsana, le posizioni, sono arrivati secoli dopo e purtroppo hanno preso il sopravvento soprattutto agli inizi del Novecento, quando per adattare lo yoga al mondo occidentale molti guru lo hanno reso un tipo differente di ginnastica e niente più.
Ho appreso molte cose sullo yoga, ma non certo grazie al corso di formazione pagato caro. Ho studiato su libri che non vengono neanche proposti nelle scuole, perché ognuno cerca di tirare acqua al proprio mulino, consigliando ‘saggi’ più esoterici che culturali.
Il punto è proprio questo: lo yoga ha ben poco a che fare con il mondo New Age che ha cominciato a diffondersi negli anni ’60. Il messaggio divulgato dalla maggior parte degli insegnanti è sbagliato e denigrante per lo yoga, ma gli allievi non lo sanno, perché i loro stessi maestri non lo sanno, poiché vengono formati con delle dispense di un centinaio di pagine, quando va bene, che dovrebbero racchiudere la storia dello yoga dal 1000 a.C. a oggi.
C’è qualcosa che non va, e il risultato è un’ignoranza disarmante. Il problema è che con un corso di formazione di 200 ore si può cominciare a insegnare, e i novelli maestri prendono sotto la propria ala allievi che spesso si avvicinano allo yoga per risolvere problemi fisici o per gestire stress, ansia e vere e proprie patologie psichiatriche; maestri che poi non hanno neanche l’umiltà di consigliare uno psicologo in casi gravi. Altri iniziano a praticare perché in cerca di una via spirituale alternativa, e altri ancora con il solo intento di fare attività fisica.
È un mondo pieno di invasati, come li chiamo io, di adepti della new age che tirano in ballo pure la fisica quantistica per risultare più credibili, di nazi-vegani, di gente che considera la reincarnazione una cosa fantastica, non sapendo che per gli indiani reincarnarsi è il massimo della sfiga che possa capitarti; di neo–tantrici ancora convinti che la parola tantra sia legata al sesso, e di gente che pratica yoga scambiandolo per il CrossFit.
Insomma, se non avessi iniziato a leggere per conto mio testi di grandi studiosi e indologi come Raffaele Torella, Raniero Gnoli e André Padoux, penserei che Autobiografia di uno Yogi di Yogananda sia l’unico testo su cui gli insegnanti di yoga si possano formare. Ed è davvero triste, perché non basta neanche leggersi un tomo in due volumi di 1500 pagine ciascuno come Hinduismo antico edito da Mondadori nella collana Meridiani, per dire di averci capito davvero qualcosa.
Ho iniziato le mie ricerche e ho intrapreso certi studi perché qualcosa non mi tornava, perché sentivo che c’erano troppe lacune, mancanze, contraddizioni, e sono arrivata a una conclusione: non è appropriato dire di insegnare yoga nel senso antico del termine.
Come scrive lo studioso Mark Singleton nel suo Yoga Body, la parola yoga oggi è solo omonimo ma non sinonimo di quello che era un tempo. Nessuno, nessuno può dire di insegnare veramente yoga, neanche quei quattro guru che sono rimasti in India e che forse davvero non si fanno neanche pagare.
Il pensiero dell’India, e il suo sistema religioso e filosofico, è complicatissimo. Non ci si può considerare profondi conoscitori dello yoga quando neanche un ricercatore che passa tutta la vita a studiare la materia si definirà mai tale. Figuriamoci senza laurea e pagando!
Invece in giro sembrano esserci parecchi guru, finti santoni e maestri che non hanno neanche mai letto un testo sacro e che millantano saggezza.
Lo yoga è morto da un pezzo
Sono tutti bravi a cimentarsi in contorsionismi, a farsi fotografare a gambe per aria, possibilmente in spiaggia e in costume, ma se poi si chiede a qualcuno cos’è lo shivaismo kashmiro, si ottiene scena muta, corredata da occhi spalancati e un grosso punto di domanda ben visibile in mezzo alla fronte.
La mia intenzione qui non era certo quella di scrivere una lezione sulle origini dello yoga, ci vorrebbero innumerevoli volumi, non un misero articolo. Il mio vuole essere una specie di appello: se le scuole di yoga vogliono essere prese sul serio, devono proporre programmi seri, esami veri, studi seri e bocciature!
Laurea in scienze motorie? E perché non proporre anche una laurea in Storia dello Yoga o qualcosa di simile?
Scommetto che sparirebbero tutti quei guru da strapazzo che parlano di energia del cosmo dentro di noi, che usano impropriamente il termine chakra, e che pensano che non ci sia niente di più yogico che salutare con namasté.
Ad ogni modo, quel che appare chiaro è che nessuno si deve sentire offeso se al giorno d’oggi viene chiamato insegnante di ginnastica dello yoga, perché forse, nel 2018, si tratta solo di questo, di ginnastica, con annessa un po’ di meditazione, e tutto per cercare un maggiore equilibrio tra corpo e mente per sopravvivere in questi stressanti tempi moderni. Niente illuminazione, niente verità assoluta, niente ricongiungimento con qualche presunto divino.
Lo yoga di un tempo è morto e sepolto. E così i suoi riti magici e iniziatici.
La cultura è in mano agli accademici, e la spiritualità… a ognuno la propria.
Articolo tratto da Pangea e rilanciato su Linkiesta