Anche chi medita può protestare

 

Le palestre hanno chiuso e così tutti i centri yoga e di meditazione. Questo ha scatenato lo scontento di molti. Ci sono state manifestazioni, proteste, scontri, flash mob, mobilitazioni da parte dello CSEN e non solo. Il malcontento è tanto, troppo.

 

In questo periodo mi è capitato di leggere alcuni post sui social di persone rimaste stupite per le proteste e la rabbia da parte di insegnanti di yoga, meditazione e discipline olistiche in genere.

 

C’è un concetto che mi è caro della meditazione: l’accettazione, parola troppo spesso travisata, abusata, mal compresa e su cui esistono un’infinità di stereotipi.

 

“Accettare” non vuol dire subire, non vuol dire essere inermi e farsi scivolare semplicemente tutto addosso. “Accettare” vuol dire essere consapevoli di quello che sta succedendo, accoglierlo, senza fuggire, e poi trovare il giusto modo per provare a rispondere in maniera assertiva a una situazione, anziché reagire in modo eccessivo, violento, ma nessuno ha mai detto che questo significa tacere e diventare delle persone passive.

 

Il Dalai Lama, per esempio, esprime il suo malcontento quando c’è da combattere per qualche causa per il bene di tutta l’umanità, anzi, è proprio lì che ogni grande maestro si fa sentire e fa valere le proprie ragioni.

 

Anni fa il professor Owen Flanagan pose al Dalai Lama la seguente domanda: “Se servisse a impedire l’Olocausto, uccideresti Hitler?”. Come viene raccontato nel libro Contro l’empatia di Paul Bloom, il Dalai Lama si consultò con gli alti lama e rispose che sì, bisognerebbe ucciderlo ma senza essere arrabbiati, perché ucciderlo “significherebbe fermare una catena karmica cattiva, molto cattiva.” Sosteneva che fosse un male necessario, un’ultima istanza, e che un individuo premuroso e razionale può usare la violenza se non ci fosse altra possibilità, compreso l’omicidio.

 

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