La mindfulness in azienda sta diventando una realtà, e questo perché i benefici sono vantaggiosi per tutti.
Parole come stress e burnout sono entrate a far parte del linguaggio comune. Sappiamo tutti di cosa si tratta.
Quello che pochi sanno, è che si possono prevenire; oppure, se il danno ormai è fatto e si è andati oltre, è comunque possibile migliorare e recuperare la situazione.
Il wellbeing aziendale è un altro termine molto in voga. Ma cosa bisogna fare per intraprendere questa strada seriamente e in maniera proficua?
LA MINDFULNESS IN AZIENDA
Le aziende che vogliono proporre la mindfulness, lo yoga o altre attività simili ai propri dipendenti, potrebbero cominciare con workshop, videocorsi, una lezione una tantum, attività di Team Building.
Un buon inizio, ma è solo l’inizio…
Per cogliere i benefici effettivi di queste pratiche, è necessario fare un percorso di molti più incontri, rivolgersi a istruttori qualificati e aperti al confronto e all’ascolto. Per esempio, potrebbe essere una buona idea proporre il metodo ufficiale per la riduzione dello stress basato sulla mindfulness, il Protocollo MBSR.
Il vostro dipendente non si sentirà meglio come per miracolo dopo un’ora di meditazione sul respiro.
Non funziona così.
Anzi, in questo modo si rischia di far crescere frustrazione e sensi di colpa, e di far sentire le persone abbandonate a sé stesse.
I BENEFICI DELLA MINDFULNESS IN AZIENDA
L’obiettivo e la performance sono importanti, ma per fare le cose al meglio, è di fondamentale importanza diventare prima di tutto consapevoli, sviluppare e accrescere questa capacità che, per esempio, si può allenare anche grazie alla meditazione mindfulness, è vero.
E questo dovrebbe riguardare tutti, in primis manager e CEO.
Ma non si può pensare che la mindfulness sia un “contentino” da dare perché va dato, perché oggi si fa così, e perché adesso va di moda.
Se volete dare, date sinceramente.
I benefici sono innumerevoli. La mindfulness è utile a incrementare la creatività e la produttività, la concentrazione, la capacità di relazionarsi con sé stessi, con gli altri, a risolvere problemi, a ridurre l’assenteismo, lo stress e molto altro.
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MINDFULNESS PER LA RIDUZIONE DELLO STRESS
Non tutti gli istruttori di mindfulness condividono l’iniziativa di portare la meditazione nelle aziende. Le motivazioni? Troppo capitalista. Si pensa solo alla performance. Non c’è etica. E avanti così.
Ma non è la verità.
Io e molti altri istruttori, invece, crediamo fermamente in questa possibilità, perché se si vogliono cambiare le cose, bisogna cambiarle da dentro, prevenendo il burnout.
La maggior parte delle persone, in Italia, lavora come dipendente all’interno di piccole o grandi aziende e istituzioni.
E principalmente sono proprio queste stesse persone a frequentare i miei corsi di mindfulness per la riduzione dello stress.
E allora perché non proporre questo genere di percorsi già alla radice?
LA MEDITAZIONE CAPITALISTA
Nel mio ultimo libro “I sentieri della meditazione. Mindfulness, cos’è, cosa non è e perché ha cambiato il mondo”, uscito per Piemme, ho parlato del fatto che alcuni ritengono la mindfulness “capitalista”. Ma da dove nasce questa falsa credenza?
Qualcuno avrà sentito parlare di McMindfulness, una definizione tratta dal libro “How Mindfuless Became the New Capitalist Spirituality” di Ronald Purser, professore di management alla San Francisco State University.
La McMindfulness è diventata famosa grazie a un articolo scritto da Purser, pubblicato sull’Huffington Post, in cui elencava i benefici della mindfulness, ma diceva anche che la consapevolezza è diventata un’industria, un vero e proprio business.
Qual è il timore? Che le aziende offrano questa pratica meditativa totalmente laica soltanto per rendere i propri dipendenti più efficienti, produttivi, performanti e più facili da schiavizzare.
Si teme che “l’accettazione”, uno dei sette pilastri della mindfulness, porti ad “accettare” condizioni sbagliate e a cedere all’indifferenza.
Peccato che ci sia un enorme fraintendimento.
ACCETTAZIONE
Accettazione non vuol dire sottomissione.
“Accettare” vuol dire provare comunque a cambiare ciò che si può cambiare. Ma anche accettare ciò che non si può assolutamente cambiare, come per esempio un lutto.
“Accettare” non vuol dire smettere di lottare per i propri diritti, per i propri valori, per migliorare la società o le condizioni di lavoro all’interno di un’azienda.
Imparare a “stare con le cose così come sono”, non vuol dire autocondannarsi a subire ingiustizie.
Purser vede la mindfulness come “Un metodo di tendenza per reprimere le agitazioni dei dipendenti, promuovere una tacita accettazione dello status quo e come uno strumento per mantenere l’attenzione focalizzata sugli obiettivi istituzionali”.
Ma la mindfulness, in realtà, serve proprio a prendere consapevolezza del contesto, per poi trovare il modo migliore di gestire una determinata situazione.
Ma se prima non impariamo a prenderci cura di noi stessi, come possiamo pensare di prenderci cura degli altri o addirittura di un’intera impresa?
Come ho scritto nel mio libro citando Jon Kabat-Zinn, fondatore della mindfulness e del Protocollo MBSR: “Se vogliamo guarire e muoverci verso un maggiore benessere, dobbiamo partire da dove siamo, non da dove vorremmo essere”.
CONCLUSIONE
Il consiglio che vorrei dare alle aziende è quello di scegliere consapevolmente, e di farlo pensando al benessere dei propri lavoratori, con sincero interesse.
Se non lo avete ancora fatto, iniziate a relizzare che altre aziende lo farrano e che molte lo stanno già facendo, e che i vostri competitor potrebbero surclassarvi proprio grazie a questo.
Solo così potrete attuare non solo un cambiamento, ma una vera e propria rivoluzione.
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